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12.1.09

Storia Seria Senza Senso

C'era una volta in un Reame perfetto un Re perfetto, saggio e buono, una Regina giusta, perfetta e cordiale e un principe bello, coraggioso e perfetto. Era a tutti gli effetti il reame perfetto. Le botteghe non presentavano difetti percepibili da chi normalmente percepisce i difetti percepibili. Il popolo era uno di quei popoli perfetti che dimostrano la loro perfezione dal momento in cui il narratore fa notare che sono perfetti sotto ogni punto di vista. Il popolo era perfetto sotto ogni punto di vista. Nel reame pioveva quando il popolo voleva la pioggia, faceva bello quando la regina voleva fare una passeggiata e il sole calava quando tutti, stanchi e assonnati, di dirigevano a consumare un pasto precursore di una sontuosa dormita. Un dì perfetto più o meno come tutti gli altri una donna si recò al cospetto del re. Era una donna che non rispecchiava molto i criteri dogmatici della perfezione. Era brutta, vecchia, storpia e puzzava anche un po'. Di certo era forestiera. Giunse innanzi al Re perfetto ed egli con un tono nè troppo sgarbato, nè troppo amichevole (insomma, il tono giusto che avrebbe chiunque nel momento in cui un non-propriamente-desiderato ospite giungesse a farci visita) chiese: "Cazzo vuoi?". La donna, o meglio, la racchia, disse che era intenzionata a chiedere la mano del Pincipe perfetto. Il Re in una smorfia ibrida di risata e sconcerto fece gentilmente accompagnare la racchia fuori dalla porta del palazzo ed ella tornò da dove era venuta. Passò una perfetta settimana, che durò esattamente sette giorni come tutte le altre settimane perfette, e al cospetto del Re perfetto giunse una donna, non troppo bella e non troppo brutta, insomma una donna di un'aspetto coerente con la propria imperfezione. Il Re nè troppo infastidito, nè troppo emozionato, insomma d'umore consono al trovarsi innanzi una donna che scaturisce uno scarso interesse, le chiese: "Cosa vuoi?". La donna, o meglio, l'insipida donna, disse che era intenzionata a chiedere la mano del Pincipe perfetto. Il Re con un'espressione che mescolava in dosi perfette comprensione e dissenso rispose: "Eh no." e fece garbatamente uscire dalla stanza la donna che tornò da dove era venuta. Passò un anno, un anno perfettamente in equilibrio con i ritmi della natura, di durata precisa e di sbalzo termico esatto alla normale maturazione dei prodotti agricoli e al cospetto del Re perfetto giunse una donna, una strafiga da paura perfetta in ogni aspetto visibilmente percepibile da coloro che percepiscono gli aspetti visibilmente percepibili. Una donna perfetta. Il Re nè troppo gentile, nè troppo sorpreso, insomma con fare adatto al trovarsi una strafiga da paura innanzi a sè, chiese: "Cosa desidera deliziosa signorina?". La donna, o meglio, la strafiga disse che era intenzionata a chiedere la mano del Pincipe perfetto. Il Re con un'espressione che conciliava perfettamente soddisfazione e contegno disse: "Se ne può parlare.". All'udir tali parole la donna sorrise con un sorriso visibilmente malefico o almeno in tal modo visibile da coloro che riuscirebbero a trovare un velo di malvagità in quel sorriso e a ritmi scenici incredibilmente incalzanti e adatti alla drammaticità della scena, mutò il proprio aspetto gradualmente prima in quello dell'insipida donna e poi in quello della racchia. Dopo aver pronunciato alcune parole incomprensibili per coloro che non comprendono parole di quel genere scagliò una violenta maledizione sul popolo ora-ahimè-non-più-perfetto. Da quel momento in tutto il reame, quando il sole decideva ai suoi ritmi di calare e di costringere la gente a ripararsi nelle case illuminate da tenui candele, e una volta spente le candele a recarsi in letti scomodi, o meglio, scomodi in confronto a com'erano prima che la donna scagliasse la maledizione le cui caratteristiche sto esponendo in questo momento, il popolo non avrebbe più fatto sogni. Che fossero tremendi incubi o dolci sogni d'amore ogni forma di notturna fantasia inconscia fu bloccata in quel momento dale parole della donna. Dopo aver pronunciato tali parole la donna tornò da dov'era venuta. Passarono alcuni mesi di durata variabile e non troppo cadenzata con ritmi costanti e il popolo e la famiglia reale iniziava a perdere colore in volto, a causa delle notti passate ad osservare la loro mente spoglia di immagini fluttuanti nei sogni, e all'obbligo di calcolare per notti intere la quantità di buio e nero inquantificabile da coloro che non riescono a quantificare tali quantità di buio e nero. Passarono altri mesi, esattamente non si sa quanti, probabilmente un numero compreso tra un incognito valore X e un'Y altrettanto incognita se non di più, o almeno non ci è dato di saperlo se fosse più o meno incognita. Il popolo iniziò a perdere consistenza e l'aspetto di tutti quanti gli esseri che popolavano il reame non-più-perfetto-purtroppo divenne scialbo e senza tono. Dopo un certo valore di tempo non ben identificato da qualsivoglia strumento di misura del tempo il reame perfetto, il re perfetto, il principe perfetto, la regina perfetta, le botteghe perfette, il popolo perfetto e il quel-che-c'era-in-quel-luogo-perfetto sparirono. [...]"


La storia ha termine qui. Dell'autore non ci è dato conoscere il nome poichè non ebbe il tempo di aggiungere in calce i suoi dati anagrafici. La maledizione della donna non-meglio-identificata si riversò anche sul suo creatore. Non sappiamo cosa accadde con precisione al popolo perfetto del reame perfetto. Quello che possiamo sicuramente constatare è che quando vediamo tutto buio e nero nella nostra vita, quando ogni cosa che era perfetta sparisce, quando ogni certezza diventa un'incognita, non possiamo evitare il fatal destino. E risulta impossibile continuare a sognare.

2 commenti:

Jessica ha detto...

Parole sensate e giuste!
Bella fiaba, che poi tanto fiaba non è...

DiVx ha detto...

E' una fiaba che ha una morale però ha le caratteristiche della fiaba in quanto ha il magico.

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